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- La Bohème è tra le opere più rappresentate nella
storia del teatro, e si può ben dire che lo meriti: capolavoro
indiscusso del grande maestro di Torre del Lago, essa rappresenta la perfetta
incarnazione del tardo romanticismo, ove la vena "eroica", le passioni
divoranti, la tensione verso una natura "divina" hanno lasciato il posto ai
sentimenti quotidiani, alla rappresentazione di un modo di vivere che fu
proprio detto bohémien (termine proveniente dal romanzo "Scènes de la vie de
bohème" di Henri Murger, 1848, cui si ispirarono Illica e Giacosa nella
composizione del libretto dell'opera pucciniana, utilizzando anche la trasposizione teatrale
di Barrière dal titolo "La vie de Bohème"), ad un romanticismo
malinconico e "struggente", fatto di tenerezza, di giovani coppie di artisti
amanti, con l'ombra della morte che non riesce a trasfigurare le eroine come
accadeva nel primo romanticismo, ma le rende ancora più fragili ed
umane, e proprio per questo commuove infinitamente di più.
- Proprio la commozione è uno dei punti forti della Bohème: mentre
trovare persone che si commuovano ancora per la morte di un'eroina del
belcanto, donizettiana o verdiana, che decede accompagnata da un Allegro
orchestrale in tonalità maggiore recitando frasi d'altri tempi, è
cosa decisamente rara, quasi nessuno (anche dopo decine e decine di ascolti)
riesce a resistere ai lancinanti "Mimì" esclamati da Rodolfo alla morte
dell'amata, accompagnato da uno dei temi più struggenti e disperati
della storia della musica.
Spesso anche i direttori d'orchestra piangono come bambini mentre dirigono
alcune parti della Bohème, come testimoniato da molti orchestrali!
Ma qual è il segreto di questa commozione, quali sono i motivi musicali
e teatrali di tanta presa sul pubblico?
- Alcune delle ragioni sono già state espresse: i personaggi sono giovani,
umani, fragili, senza eroismi, dunque lo spettatore riesce ad immedesimarsi
ancora oggi, ad un secolo di distanza, mentre le vicende di re e regine, di
eroine e cavalieri, nobili e nobildonne risentono ovviamente del tempo
trascorso, impedendo una totale identificazione.
La morte triste e disperata, non eroica ma sommessa, sembra la morte che
colpisce ciascuno di noi, quella che porta via le persone che amiamo, dunque ci
colpisce profondamente.
Ma ci sono anche altre ragioni, prettamente musicali, nelle melodie, nei temi
conduttori, nella scelta delle armonie e della strumentazione, tutte cose in
cui Puccini è stato grande maestro. Andiamo ad analizzarne un paio in
dettaglio.
- Partiamo proprio dalle struggenti battute finali: il tema utilizzato da Puccini
è lo stesso cantato da Mimì pochi minuti prima, nel celebre
"Sono andati... fingevo di dormire", ma esso era presentato in
tonalità di Do minore, in piano e con orchestrazione
ridotta. Nel finale esso viene alzato di un semitono, alla tonalità di
Do# minore, cosa che dà un effetto psicologico di maggiore
intensità e penetrazione, e viene presentato in fortissimo;
l'orchestrazione è mutata da pochi strumenti, con sapore cameristico,
alla piena orchestra, con effetto di grande suggestione. Il ritmo, che
già nella presentazione fatta da Mimì ricordava una marcia
funebre per la sua uniformità e lentezza, nel finale si scopre
completamente come tale, e viene fatto terminare con il tipico ritmo puntato
proprio di tale marcia. Il tema esplode improvvisamente, preparato dalle
richieste ansiose di Rodolfo, con grande teatralità, e la dinamica del
crescendo e del successivo diminuendo è posta sui vari incisi del tema
alla perfezione per ottenere la maggiore commozione. Il tocco da maestro
è infine la collocazione delle grida "Mimì", che Rodolfo
deve eseguire a tempo in punti ben determinati del tema, anch'essi pensati per
il migliore effetto psicologico: dopo l'esposizione del primo inciso tematico,
che ottiene l'effetto di irruzione della tragedia, c'è il primo
"Mimì", seguito dal secondo, più struggente inciso
tematico, cui fa seguito il secondo "Mimì", e qui le
lacrime sono assicurate, e sostenute dal seguito del tema, di profonda
malinconia e punteggiato dai singhiozzi di Rodolfo, che si fondono con quelli
dell'ascoltatore e con l'inciso più malinconico del tema con
un'autentica sinergia perfetta.
- Un altro punto di grande commozione è il duetto che segue il Sono
andati: qui Rodolfo è al capezzale di Mimì, e Puccini rende
musicalmente il prorompere dei ricordi e delle sensazioni dell'amore vissuto
insieme dai due giovani tramite la rievocazione dei temi più importanti
degli atti precedenti, giungendo sino allo scambio dei ruoli, con Mimì
che canta l'inizio di "Che gelida manina". Questa struttura musicale
è perfettamente ricalcata sulle reali emozioni che ognuno di noi
proverebbe accanto alla persona amata malata, e questo ci coinvolge in prima
persona: il "ti ricordi dei giorni felici" è la naturale reazione
dell'animo umano ad una tale situazione, ove i ricordi vengono resi più
trasparenti, essenziali e struggenti dalla drammaticità della malattia,
così come l'immedesimarsi nelle emozioni provate allora dalla persona
amata sino allo scambio dei ruoli. Altro effetto meraviglioso è la
rievocazione dell'aria "Mi chiamano Mimì", compiuto due volte in
tonalità sempre più basse e sempre più pianissimo,
che rende musicalmente lo spegnersi della vita in Mimì. Il "te lo
rammenti" riprende un tema del primo incontro con un'armonizzazione ancora
più romantica, con l'uso tipicamente pucciniano delle settime
secondarie, settime che con il loro inconfondibile sapore sono la vera chiave
dell'effetto profondo dell'armonia in Puccini. La bellezza del tema è
ancora più accentuata dal senso di amore vissuto nel passato, ora
rivissuto più intensamente e sentito come vicino alla
inattingibilità, che tale armonizzazione rende alla perfezione, creando
un'atmosfera incredibilmente vicina alle sensazioni del nostro intimo.
- È proprio questa vicinanza al nostro animo, a quella parte dell'uomo che
non cambia con le epoche e con l'età, che accomuna il sentire di persone
totalmente diverse, ad essere il vero capolavoro di Puccini: tutti ci
ritroviamo, provando le sensazioni più intime e personali in un perfetto
equilibrio tra scena e musica, una musica che penetra in noi con quel sapore
caratteristico, quasi Proustiano, spingendoci alla ricerca delle sensazioni
passate ma non dimenticate, riportandole alle luce sino alla catarsi del
pianto.
Nulla più della musica pucciniana è maggiormente vicino alla
radice interiore dei nostri sentimenti, dandoci emozioni che riconosciamo come
nostre, come già presenti in fondo al nostro animo ed evocate in
pienezza da quelle armonie.
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