Carmen: fine dell'opera ottocentesca o unicum?

di Marco Milano
  • La complessità di un'opera come Carmen è indubbia: il sottile rapporto tra recitativi parlati e parti cantate, gli stilemi "finto-spagnoli", le audaci armonie, l'uso di melodie "aperte" al fianco di tradizionali pezzi chiusi, tutto contribuisce a formare un'inestricabile massa di dati contrastanti, per cui molti musicologi considerano Carmen contemporaneamente un capolavoro e la fine dell'opera ottocentesca.
    Questi giudizi a nostro avviso sono sempre molto relativi, vista la continuità tra '800 e '900 che sia nell'opera italiana (Verdi-Verismo-Puccini-pucciniani) che in quella tedesca (Wagner-postwagneriani-Strauss) si è affiancata alle operazioni di rottura più o meno sperimentale, e vista la posizione "eccentrica" rappresentata dall'Opéra Comique francese al momento della composizione di Carmen.
    Vale però la pena di approfondire meglio i motivi di tale giudizio sul capolavoro di Bizet, cercando di analizzare cosa abbia spinto alcuni critici a considerare quest'opera dal tardivo successo la pietra tombale dell'operismo del XIX secolo.

  • Il primo contrasto che ci si pone dinanzi è l'utilizzo della forma di Opéra Comique per un lavoro di argomento tragico: non fu certo una necessità, visto che all'epoca l'Opéra Comique era già stato soppiantato dall'Opéra Lirique, privo di parti recitate. Il ripescare questa vecchia forma, perdipiù opposta al contenuto drammatico, resta un'operazione misteriosa. Ma il mistero può essere in parte dissolto se si pensa che Bizet voleva realizzare un'opera di autentico realismo, dunque necessitava dei dialoghi parlati "alla Scribe" per farne il polo opposto all'espansione lirica delle parti cantate.
    La messa in musica dei recitativi da parte di Guiraud rese Carmen il prototipo dell'opera verista, in cui il realismo è risolto nell'esasperazione del canto come espressione di passioni esacerbate: il contrario delle intenzioni di Bizet, che proprio nella separazione tra valori musicali e verbali e nella loro combinazione trova il suo realismo.

  • Analizzando più da vicino questo capolavoro, si nota l'uso di pezzi chiusi (Seguidilla, Habanera, Aria di Micaela), il ricalco di forme classiche (nei pezzi d'assieme), l'uso di melodie "aperte" (Romanza del fiore), cori di stile comique, il tutto combinato con logica personalissima con le parti recitate. Un collage di incredibile complessità, da cui il genio di Bizet riesce ad ottenere risultati unitari grazie alle soluzioni timbriche ed armoniche di sapore novecentesco (il registro di mezzosoprano per la protagonista, i timbri orchestrali sempre relati all'armonia ed al ritmo, le armonie audaci, con l'uso "francese" ma mai compiaciuto di settime secondarie ed esotismi), al topos rappresentato dall'intervallo di seconda eccedente.
    I molti contrasti, ad esempio l'uso di pezzi chiusi rispettosi della forma comique in momenti tragici, manifestano una volontà coerente di inversione dei valori, che genera sapidità ed originalità, accanto all'uso non di autentico colore spagnolo ma dello "spagnolismo esotico" francese. Fondamentale, come detto, l'uso del parlato come polo negativo in contrasto con quello positivo rappresentato dalla melodia, ed i momenti di autentico classicismo mozartiano (operazione quasi alla Stravinskij).

  • Concludendo, si può notare che la soluzione del problema (problema che continuerà ad essere centrale anche nel '900) del rapporto tra parola e melodia, azione scenica e musica data da Bizet, ovvero evitare commistioni ed accomodamenti, mantenere separati i due campi ed integrarli in modo originale, lo pone come autore più novecentesco che tardo-ottocentesco: è come saltare direttamente dal romanticismo a Poulenc, ignorando verismo e decadentismo.
    La breve analisi dei fattori interni e delle originalità compositive in Carmen mette in luce l'unicità delle soluzioni trovate da Bizet, che accostò forme e ne invertì i significati con risultati geniali.
    In tutto questo crediamo si possa trovare la vera definizione di Carmen: più che ultima opera dell'ottocento, più che superamento e conclusione di un'epoca, Carmen è un unicum, un'isola nel mondo dell'opera, al di fuori del tempo.
    Bizet non visse nel novecento, e le sue soluzioni non potevano essere quelle che, in diverso ambito temporale, sarebbero state proposte nel nostro secolo, ma si estraniò dal suo tempo, differenziandosi nettamente da tutte le correnti teatrali a lui coeve. Rimane dunque in tutta la sua originalità, come un genio che si occupa di problemi estranei alla sua epoca, che ricalca epoche più antiche, rinnegando le mode del tempo, per utilizzarne le forme in modo inedito e non più imitabile. In questo non è poi così azzardato un paragone con Bach, cui lo accomuna il guardare a forme ormai fuori moda per trovare soluzioni a problemi non ancora giunti alla coscienza artistica del suo tempo.


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